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Articolo inserito in data 11/12/2008 16:19:05
Spluga della Preta
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SPLUGA DELLA PRETA: il film "L'Abisso" - 18 giugno 2005

Un film alla Spluga della Preta

80 anni fa iniziò il viaggio all'interno della Preta. Non riesco neppure a immaginare in che modo, e con che mezzi, che cosa i primi esploratori abbiano studiato per vincere l'incredibile baratro che si apre oggi ai miei piedi, per contrastare la paura che certamente li paralizzava, per convincersi dell'esistenza di un motivo razionale capace di giustificare una tale impresa, un tale azzardo.
Più o meno sappiamo cosa li aspettava; molti speleologi hanno raggiunto profondità rilevanti in questo abisso, i più bravi lo stanno ancora studiando e alcuni di loro hanno deciso di raccontarne la storia, illustrarne le peculiarità tramite un film nelle cui scene emergano i pensieri, i sogni, le aspirazioni, la fatica, l'entusiasmo di chi dal 1925 prova a svelarne i misteri.
Siamo quassù per aiutare questi ragazzi, per dare un piccolo supporto al loro enorme impegno, soprattutto per confermargli con la nostra presenza la grandezza del loro progetto, l'ammirazione incondizionata per le loro capacità tecniche e fisiche.

In questi giorni si concentreranno gli sforzi sul "131", il più bel pozzo che mi sia mai capitato di affrontare, una spettacolare verticale dalle incredibili dimensioni, un campanone schiacciato, a base elissoidale, che costringe a un'inquietante calata di almeno 110 metri nel vuoto più assoluto, osservando l'azzurro del cielo che man mano si allontana fino ad apparire come un minuscolo, luminosissimo pertugio capace di fissartisi nella mente perchè nulla potrebbe illustrarti meglio la distanza che ora che sei là sotto ti separa dalla superficie.
E' mia intenzione raccontare brevemente le fasi del lavoro alle quali abbiamo partecipato; per un resoconto più accurato vi consiglio di leggere le "news" del sito www.splugadellapreta.it, sempre aggiornato e in rapido sviluppo.

Dal diario che Francesco Sauro e Giorgio Annichini proprio lì stanno pubblicando, sottraggo qualche notizia: il progetto si chiama "La Spluga della Preta - 1925/2005: ottant'anni di esplorazioni" e prevede, fra l'altro, la produzione di un film con scene girate ovunque, dalla dolina d'ingresso ai rami più lontani della grotta, durante "tranquille" progressioni, e durante un'esplorazione che potrebbe portare operatori e attori in zone ancora sconosciute a grandi distanze dalla superficie; a tal scopo si è allestito un campo base capace di ospitare 7-8 persone per vari giorni a 6-700 metri di profondità.
Ecco spiegato il bisogno del supporto di tanta gente, di chi trasporta laggiù materiali fondamentali per una dignitosa sopravvivenza in condizioni estreme, attrezzature pesanti e delicate, e di chi collabora a riportare indietro tutto, di chi rimane sospeso a quote imprecisate illuminando, girando, fotografando, e di chi recupera batterie, porta provviste, sale e scende per pozzi cercando l'immagine giusta, di chi arma, studia, sostituisce corde, lavora ai paranchi, alle sicure, o cala e tira per consentire alla squadra addetta alle riprese di muoversi nel "131" con addosso l'ingombrante armamentario necessario, o semplicemente di chi prepara una pastasciutta, porta una bottiglia di vino, racconta due storie e mantiene elevato l'entusiasmo.

Partecipano così molti gruppi veneti: il Gruppo Speleologico Padovano, il Gruppo Amici della Montagna di Verona, il Gruppo Speleologico Montecchia, il Gruppo Speleologico Falchi, il Gruppo Alti Lessini, l'Unione Speleologica Veronese, il Gruppo Grotte Treviso, il Gruppo Speleologico CAI di Verona... e un volenteroso, pittoresco plotoncino di Forlivesi!

Qualche giorno fa Raumer, proprio lui, quello di chiodi, piastrine, fix, catene e ancoraggi vari, è venuto ad allestire il "ragno" che fungerà da struttura base per calare e recuperare persone e materiali nel grande Pozzo; ora con un paio di tiranti si è ulteriormente garantita la stabilità del traliccio al quale è collegato un braccio del "ragno" (gli altri sono fissati a poderosi picchetti cementati al suolo) e al quale si legheranno a turno discensore e bloccanti che consentiranno le manovre lungo la verticale.

E' necessaria una corda per portare al centro del pozzo la carrucola alla quale si agganceranno i "raccomandati", ed è fondamentale che sia ben ancorata perchè sopporterà gran parte del loro peso; dovrà poi permettere rapide manovre con bloccaggi sicuri e sbloccaggi controllati. Dopo una serie di incomprensioni causate fondamentalmente dalla mia incapacità di capire il Veneto e dall'aver trovato il capo della fune stessa legato a un traballante paletto, hanno individuato la soluzione Francesco e Cristiano (stimolati anche dal fatto che loro al marchingegno ci si appenderanno!): un paranchino impostato su un grigri e un paio di dressler collegati in serie, discretamente sicuro, adatto allo scopo, e sufficientemente comodo da usare.

Ora le manovre sono semplici: si lega il prescelto alla corda di calata e la si fa passare dalla carrucola del "ragno"; lo si porta al centro del grande Pozzo con la seconda corda, che si tende e si blocca in modo da evitare un ritorno della carrucola stessa, e da qui lo si fa scendere sbloccando delicatamente la prima. Conclusa l'operazione si recupera la corda di calata, quindi la carrucola del "ragno" sbloccando la seconda fune... il tutto 2, 3, 5, tante volte (regista, cameramen, organizzatore-produttore-sceneggiatore, che per fortuna è uno solo, e attrici, attori...).

Al termine di questa prima fase dei lavori restiamo ad attendere istruzioni sotto un sole micidiale; la squadra sotto è collegata con l'esterno tramite rice-trasmittenti e comunica che tutto è a posto, sono pronti a iniziare le riprese.
Approfitto del lungo periodo di inattività per bermi un paio di birre; considerati irraggiamento e temperatura l'invitante nettare rischierà di essermi letale. Provo a fare una passeggiata nel mesto tentativo di riprendermi.
Entro nella grotta del Ciabattino, praticamente orizzontale, vicinissima alla Preta eppure separata da quest'ultima che fra l'altro ha un andamento da vero abisso, assolutamente verticale. Mi trovo a pensare che le ha senza dubbio scavate la stessa acqua, ma qui ha preferito agire in un modo e lì, a neanche 200 metri, in un altro, opposto; d'altronde la natura non deve spiegazioni a me, non le deve a nessuno, e neppure ci prende in giro, non ne ha motivo, è semplicemente indifferente alla nostra presenza, ai nostri sforzi per capirla, fa ciò che vuole e noi possiamo solo cercare di interpretare la sua infinita fantasia, o meglio l'infinito numero di variabili seguendo le quali crea, modella e distrugge... accidenti alla birra... decido di salire in cima al corno d'Aquilio!

Bel panorama e tanti buchi, un po' ovunque, crepacci, pozzetti e pure, mi dirà poi Giorgio, qualche trincea.
Ritorno percorrendo la cresta; sto ritrovando la lucidità, penso, ragiono, anche se la strada in realtà la individua Lucky, il cagnotto che valutate le mie condizioni si è imposto l'onere di seguirmi, accudirmi e al momento giusto ricondurmi alla base.

Il tempo passa. Qualcuno ha avuto l'ottima idea di appendere un telo per proteggersi dal sole; si è levata una piacevole brezza. Finalmente arriva l'ordine di recuperare.
L' operazione è simile alla precedente: in pratica si tratta di fare una grande fila indiana e tirare tutti assieme la corda principale, quella di calata, facendola scorrere in un bloccante. Dopo 130 metri esatti di nostro cammino, e di sua progressione verticale, lo speleologo, al quale è richiesta poco prima dell'inizio della passeggiata per campi dei produttori di forza motrice l'accortezza di legarsi al capo a lui vicino della corda in questione, arriverà al "ragno", quindi, sbloccata la seconda corda, verrà condotto con carrucola, staffa, sacchi e ammennicoli vari fino all'orlo del "131".

Sono le 17 e abbiamo riportato in superficie tutti, l'ultimo in meno di un minuto. Paiono stanchi, ma contenti; evidentemente le riprese li hanno soddisfatti.
So che il programma prevede ancora un lavoro abbastanza complesso attorno alle cenge del ramo del Nonno; non lo conosco e in ogni caso si tratta di operazioni che coinvolgeranno una squadra di speleologi già selezionati. Per noi la giornata è finita; quassù si lavorerà anche domani, ma i risultati li leggerò come voi nelle "news" del sito monotematico dedicato alla Preta.
Torneremo a metà luglio con Luca di Terni e Sandro, quello della Rana, nelle giornate che verranno dedicate alle zone più profonde della grotta; cercheremo di dare una mano supportando la squadra di punta e approfitteremo dell'occasione per infilarci in un qualche bucanotto lontano, magari nei pressi del Chiodo, o addirittura del Bologna... si vedrà, nel frattempo ci godiamo una bella sensazione, il nuovo rapporto instaurato con questo incredibile gioiello naturale: il pozzo iniziale, senza pareti, senza fondo, col suo ipnotizzante oculo oscuro che turbava i nostri pensieri, amplificava le nostre paure, ora è divenuto semplicemente, finalmente, lo splendido "131".

Alcune foto sono di Lorena, dello Speleo Club Forlì

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